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  «Non grasso» disse mister Vandemar.

  Mister Croup, che aveva tagliato i fili del telefono di Richard non appena questi aveva minacciato di chiamare la polizia, e co­minciava a chiedersi se avesse reciso i fili giusti, dato che la tec­nologia del ventesimo secolo non era il suo punto di forza, gli tol­se di mano un volantino.

  «Non ho mai detto che lo sia» disse. «Sputo!»

  Mister Vandemar scatarrò una boccata di muco e la sputò con precisione sul retro della fotocopia. Mister Croup spiaccicò con forza il foglio contro il muro, accanto alla porta di Richard. Un incollaggio rapido, e un incollaggio forte.

  AVETE VISTO QUESTA RAGAZZA? chiedeva.

  «Ha detto 'omone'. Vuol dire grasso.»

  «Omone vuole anche dire grand'uomo. Forte, gagliardo, robu­sto, valoroso, coraggioso, intrepido, prode, risoluto e deciso» dis­se mister Croup. «Gli crede?»

  Ripresero a scendere le scale.

  «Che mi venga un accidente» disse mister Vandemar. «Sentivo il suo odore.»

  Richard attese accanto alla porta finché udì sbattere il portone del palazzo, parecchi piani più sotto. Stava percorrendo il corri­doio diretto in bagno, quando il telefono squillò, facendolo sobbalzare.

  Tornò indietro a tutta velocità e sollevò il ricevitore.

  «Pronto?» disse. «Pronto?»

  Dall'altra parte non proveniva alcun suono, poi si udì un click e la voce di Jessica che usciva dalla segreteria telefonica posta sul tavolino accanto all'apparecchio. E diceva: «Richard? Sono Jessi­ca. Mi dispiace che tu non sia a casa, perché questa sarà la nostra ultima conversazione e avrei tanto voluto dirtelo in faccia.»

  Si rese conto che il telefono era completamente muto. Dal rice­vitore spenzolava una trentina di centimetri di filo, che era poi stato tagliato di netto. Si mise a gridarci dentro comunque, urlando cose come «Jessica!» e «Sono qui!» e «Ti prego non riagganciare!»

  «La notte scorsa mi hai messo davvero in grande imbarazzo, Richard» continuò la voce. «Per quanto mi riguarda il nostro fi­danzamento è rotto. Non ho alcuna intenzione di restituirti l'anel­lo, e neppure di rivederti mai più. Mi auguro che tu e la tua paperella zoppa bruciate all'inferno. Addio.»

  «Jessica!» strillò più forte Richard, sperando forse di riuscire a introdursi nella rete delle telecomunicazioni grazie all'aumento di volume.

  La cassetta smise di girare, ci fu un ulteriore clic, e una lucina rossa cominciò a lampeggiare.

  «Brutte notizie?» chiese la ragazza.

  Se ne stava in piedi proprio dietro di lui, nella piccola zona cuci­na, con il braccio accuratamente bendato. Stava togliendo dalla sca­tola delle bustine di tè, per metterle in due tazze. La teiera bolliva.

  «Si» rispose Richard. «Molto brutte.» Si diresse verso di lei e le mostrò il volantino dell'AVETE VISTO QUESTA RAGAZZA? «Sei tu, vero?»

  Aggrottò le sopracciglia. «La fotografia è mia.»

  «E tu sei... Porzia?»

  Scosse il capo. «Sono Porta, Richardrichardmayhewdick. Latte e zucchero?»

  A quel punto Richard si sentiva in acque davvero troppo pro­fonde per le sue possibilità e disse, «Richard. Solo Richard. Nien­te zucchero.» Poi aggiunse, «Senti, se non è una domanda troppo personale, puoi dirmi cosa ti è successo?»

  Porta versò l'acqua bollente nelle tazze. «È meglio che tu non lo sappia» rispose semplicemente.

  «Oh, be', scusa se...»

  «No, Richard. Davvero. È meglio che tu non lo sappia. Non ti servirebbe a niente. Hai già fatto più di quanto dovevi.»

  Tolse le bustine di tè e gli allungò una tazza. Nel prenderla in mano si accorse di essersi portato appresso il ricevitore del telefono.

  «Be', insomma, non potevo certo lasciarti là.»

  «Avresti potuto» disse lei «ma non l'hai fatto.»

  Si appiatti contro il muro per sbirciare dalla finestra. Richard si alzò e la raggiunse, mettendosi anche lui a guardare fuori. Sull'al­tro lato della strada mister Croup e mister Vandemar si stavano al­lontanando dall'edicola, e la scritta AVETE VISTO QUESTA RAGAZ­ZA? risaltava in primo piano in vetrina.

  «Sono davvero tuoi fratelli?» chiese.

  «Per favore» disse Porta, per nulla impressionata. «Dammi un attimo di tregua.»

  Lui prese a sorseggiare il té, fingendo che fosse tutto normale.

  «E allora dove sei stata?» chiese. «Fino a ora?»

  «Ero qui» rispose. «Senti, con quei due ancora in giro dobbia­mo far avere un messaggio a...» Esitò. «A qualcuno che ci può aiu­tare. Non oso uscire di qui.»

  «Bene, non hai un posto dove andare? Qualcuno a cui telefo­nare?»

  Gli tolse di mano il ricevitore muto, filo penzoloni, e scosse la testa. «I miei amici non si contattano per telefono» disse. Riaggan­ciò il ricevitore sul telefono, dove rimase, solo e inutile.

  All'improvviso sorrise con aria maliziosa. «Briciole di pane!» disse.

  «Come, scusa?» chiese Richard.

  Apri la finestrella sul retro della camera da letto che dava su uno spicchio di tegole e grondaie e sparse all'intorno le briciole. Per raggiungere la finestra era necessario mettersi in piedi sul letto di Richard.

  «Ma non capisco» disse Richard.

  «Certo che non capisci» convenne Porta. «Zitto, adesso.»

  Un battere d'ali ed ecco la lucentezza cangiante rosso-grigio­verde di un piccione. Si mise a beccare le briciole e Porta allungò la mano per afferrarlo. La osservò incuriosito, ma senza lamentarsi.

  Si sedettero sul letto. Porta diede il piccione in mano a Richard, mentre lei gli legava un messaggio alla zampa utilizzando un ela­stico blu acceso che in precedenza era servito a tenere unite le bol­lette dell'energia elettrica.

  Richard non era un reggi-piccioni particolarmente entusiasta.

  «Non ne vedo la ragione» spiegò. «Voglio dire, non è un pic­cione viaggiatore. È solo un normalissimo piccione di Londra. Di quelli che cacano sulla statua di Lord Nelson.»

  «Ecco fatto» disse Porta. Aveva le guance piene di escoriazioni e i capelli spettinati; spettinati, ma non arruffati. Gli tolse di mano il piccione e lo sollevò delicatamente, portandoselo all'altezza del viso. Lui inclinò la testa da un lato e ricambiò lo sguardo.

  «D'accordo» disse, poi emise un suono che pareva il liquido gorgoglio tipico del linguaggio dei piccioni, «d'accordo Crrupll, vai a cercare il Marchese de Carabas. Hai capito?»

  Il piccione le rispose con un altrettanto liquido gorgogliare.

  «Bravo ragazzo! Ora ascolta, è molto importante, quindi faresti meglio a...»

  Il piccione la interruppe con un borbottio di impazienza. «Scu­sa» disse Porta. «Certo che sai quello che fai.»

  Portò il volatile alla finestra e lo lasciò andare.

  Richard aveva osservato il tutto con un certo stupore. «Sai, pa­reva quasi che ti capisse» commentò mentre l'uccello rimpiccioliva nel cielo e spariva dietro a qualche tetto.

  «Ma guarda» disse Porta. «E adesso aspettiamo.»

  Si diresse alla libreria posta in un angolo della stanza da letto, trovò una copia di Mansfìeld Park che Richard non aveva mai sa­puto di possedere, e andò in salotto.

  Richard la segui. Lei prese posto sul divano e apri il libro.

  «Allora è un vezzeggiativo di Porzia?» chiese.

  «Cosa?»

  «Il tuo nome.»

  «No.»

  «Come si scrive?»

  «P-o-r-t-a. Come quelle attraverso cui puoi passare.»

  «Oh.» Doveva dire qualcosa, perciò aggiunse: «E che razza di nome è Porta?»

  Lei lo guardò con i suoi occhi dallo strano colore e rispose, «E il mio nome.» Dopo di che tornò a Jane Austen.

  Richard prese il telecomando e accese il televisore. Poi cambiò canale. Cambiò ancora. Sospirò, e cambiò di nuovo.

  «Allora, cosa stiamo aspettando?»

  Porta voltò pagina, senza alzare lo sguardo. «Una risposta.»

  «Che tipo di risposta?»

  Si strinse nelle spalle.

 
; «Oh, non importa.»

  In quel momento gli venne in mente che la ragazza aveva una pelle bianchissima, ora che si era ripulita di buona parte dello spor­co e del sangue. Si chiese se il pallore fosse determinato da una malattia o dalla perdita di sangue. O se semplicemente non passas­se molto tempo all'aria aperta. Forse è stata in prigione. Anche se sembrava un po' troppo giovane per quello. Forse l'omaccione aveva detto la verità affermando che era pazza...

  «Senti, quando sono arrivati quegli uomini...»

  «Uomini?» negli occhi dallo strano colore passò un lampo.

  «Croup e hmm, Vanderbilt.»

  «Vandemar.» Riflette per un istante, poi annui. «Si, suppongo che li si possa chiamare uomini. Due braccia, due gambe e una te­sta ciascuno.»

  Richard riprese il discorso. «Quando sono venuti qui, prima, tu dov 'eri?»

  Lei si leccò il dito e voltò pagina. «Ero qui.»

  «Ma...»

  Smise di parlare, a corto di argomenti. Nell'appartamento non c'era neppure un buco dove avrebbe potuto nascondersi. Però dal­l'appartamento non era uscita. E tuttavia...

  Si udì raspare e una figura scura corse rapida fuori dall'ammas­so di videocassette che si trovavano sotto al televisore.

  «Gesù!» disse Richard, lanciando il telecomando verso quel­l'ombra più forte che poteva. Si fracassò sulle videocassette con un gran botto. Della figura scura, nessuna traccia.

  «Richard!» disse Porta.

  «Va tutto bene» spiegò. «Penso fosse solo un ratto o qualcosa del genere.»

  Gli lanciò uno sguardo furioso. «Certo che era un ratto! L'avrai spaventato, poverino!» Si guardò intorno, poi emise un sibilo bas­so e profondo fischiando tra gli incisivi. «Ehi?» chiamò. Si mise in ginocchio sul pavimento, Mansfìeld Park ormai dimenticato. «Ehi?»

  Lanciò un'altra occhiataccia a Richard. «Se gli hai fatto del male» minacciò; poi, dolcemente, alla stanza, «Mi dispiace, è un idiota, ehi?»

  «Non sono un idiota» disse Richard.

  «Shh!» fece lei. «Ehi?»

  Due occhietti neri spuntarono da sotto il divano. Segui anche il resto della testa, che sbirciò fuori con sospetto. Era decisamente troppo grosso per essere un topo, Richard ne era sicuro.

  «Ciao!» disse Porta con calore. «Stai bene?»

  Allungò la mano. L'animale ci sali sopra, arrampicandosi fino ad accoccolarsi in braccio alla ragazza, che gli accarezzò il fianco con le dita. Era marrone scuro, con una lunga coda rosa. Attaccato al fianco aveva qualcosa che pareva un pezzo di carta ripiegato.

  «È un ratto» disse Richard, con la consapevolezza che ci sono occasioni in cui un uomo dovrebbe essere perdonato quando affer­ma qualcosa di ovvio.

  «Si, è cosi. Sei pronto a chiedere scusa?»

  «Come?»

  «Chiedere scusa.»

  Forse non aveva sentito bene. Forse era lui quello che stava di­ventando pazzo. «A un ratto?»

  Porta non disse nulla, ed era un silenzio molto esplicito.

  «Mi dispiace» disse Richard al ratto, con grande dignità, «se ti ho spaventato.»

  Il ratto guardò Porta.

  «No, lo pensa davvero» disse lei. «Non lo dice tanto per dire. Dunque, cosa mi porti?»

  Armeggiò sul fianco del ratto e ne trasse un pezzette di carta marroncina piegato e ripiegato molte volte, che era stato legato con quello che a Richard parve proprio un elastico blu acceso.

  Lo srotolò: un pezzo di carta marrone dai bordi irregolari, con sopra scritto qualcosa in una grafia molto sottile.

  Lei lesse e annui. «Grazie» disse al ratto. «Apprezzo ciò che avete fatto per me.»

  Questo sgambettò veloce sul divano, lanciò un'occhiataccia a Richard e in un attimo era già sparito nell'ombra.

  La ragazza di nome Porta passò il foglietto a Richard. «Ecco» disse. «Leggi.»

  Era tardo pomeriggio nel centro di Londra e, con l'autunno che volgeva al termine, era quasi buio. Richard aveva preso la metro­politana per Tottenham Court Road e ora stava camminando lungo Oxford Street diretto a ovest, il foglietto di carta ben stretto in mano.

  «È un messaggio» gli disse allungandogli il bigliettino. «È del Marchese de Carabas.»

  Richard era certo di avere già sentito quel nome. «Carino» commentò. «Cos'è, aveva finito le cartoline?»

  «Cosi è più rapido.»

  Superò le insegne luminose del Virgin Megastore, poi il nego­zio che come souvenir di Londra vendeva berretti da poliziotto e piccoli autobus rossi, poi il negozio dove vendevano la pizza al taglio, infine svoltò a destra...

  «Devi attenerti alle indicazioni scritte qui. Cerca di non farti seguire da nessuno.» Quindi sospirò e aggiunse, «Davvero non ti dovrei coinvolgere fino a questo punto.»

  «Se seguo le indicazioni... potrai andartene di qui più in fretta?»

  «Si. »

  In Hanway Street, una stradina stretta e buia, piena di malinco­nici negozi di dischi e di ristoranti chiusi, l'unica fonte di luce spio­veva dai club privati al primo piano degli edifici. Ci passò sotto.

  «'... Gira a destra in Hanway Street, poi a sinistra in Hanway Piace, quindi ancora a destra in Orme Passage. Al primo lampio­ne che incontri ti fermi... ' Sei sicura che sia giusto?»

  «Si.»

  Non ricordava di avere mai visto Orme Passage, anche se in Hanway Piace c'era già stato, perché li si trovava un ristorante in­diano che piaceva molto a Garry dell'ufficio. Per quel che ne sa­peva lui, Hanway Piace era una strada senza uscita.

  Il Mandeer: ecco come si chiamava il ristorante. Superò la por­ta d'ingresso, i gradini che lo invitavano a scendere e a entrare, poi svoltò a sinistra...

  Si era sbagliato. C'era davvero un Orme Passage. Poteva persino leggerne il relativo cartello stradale:

  ORME PASSAGE W1

  Non c'era da stupirsi se non l'aveva notato prima: si trattava di poco più che uno stretto corridoio tra i palazzi, illuminato da uno scoppiettante lampione a gas.

  Non se ne trovano più molti di questi, pensò Richard, sollevan­do le sue istruzioni verso la luce per dare un'ultima controllatina.

  «'Poi ruota su te stesso tre volte contro le lancette'?»

  «Significa in senso antiorario, Richard. »

  Ruotò, per tre volte, sentendosi uno stupido.

  «Senti, perché devo fare tutto questo, solo per incontrare un tuo amico. Voglio dire, non ha senso...»

  «Ne ha di senso, invece. Davvero. Fallo, giusto per acconten­tarmi, va bene?»

  E gli aveva sorriso.

  Smise di girare. Camminò fino al termine del corridoio. Nien­te. Un bidone della spazzatura di metallo e, accanto a esso, qual­cosa che poteva essere una pila di stracci.

  «Ehi?» disse Richard. «C'è nessuno? Sono l'amico di Porta. Ehi?»

  No. Non c'era nessuno.

  Richard si senti alquanto sollevato. Adesso poteva tornarsene a casa e spiegare alla ragazza che non era successo niente. Poi avreb­be chiamato le 'autorità competenti', che avrebbero 'risolto tutto'.

  Appallottolò il foglietto di carta e lo tirò verso il bidone.

  Quella che Richard aveva preso per una pila di stracci abban­donati si dilatò e si alzò in piedi con un unico movimento fluido, e una mano afferrò al volo la pallina di carta.

  «Credo appartenga a me» disse il Marchese de Carabas.

  Indossava un trench molto ampio, alti stivali neri e abiti laceri. Gli occhi erano di un bianco incandescente nel viso scuro. Per un istante fece un sorriso a trentadue denti, come per una barzelletta tra sé e sé, quindi si inchinò davanti a Richard dicendo: «De Cara­bas, al tuo servizio, e tu sei...?»

  «Hmm» disse Richard. «Be', hmm.»

  «Tu sei Richard Mayhew, il giovanotto che ha salvato la nostra povera Porta ferita. Come sta ora?»

  «Be', sta bene. Il braccio è ancora un po'...»

  «Indubbiamente i suoi tempi di recupero stupiranno tutti noi. La sua famiglia ha sempre avuto questa straordinaria capacità. È sorprendente che qualcuno sia riuscito a ucciderli, non è vero?» L'uo
mo che diceva di chiamarsi Marchese de Carabas camminava nervosamente su e giù per la stradina. Era sempre in movimento.

  «Qualcuno ha ucciso la famiglia di Porta?» domandò Richard.

  «Non andremo molto avanti se non fai che ripetere tutto ciò che dico, ti pare?» disse il Marchese, che ora si trovava in piedi pro­prio di fronte a Richard. «Siediti» ordinò.

  Richard si guardò intorno alla ricerca di qualcosa su cui seder­si. Il Marchese gli appoggiò una mano sulla spalla e lo mandò a conoscere da vicino l'acciottolato.

  «Sa che non costo poco. Cosa mi offre esattamente?»

  «Scusi?»

  «Qual'è l'accordo? Ti ha mandato qui a negoziare, giovanotto. I miei servigi costano caro, e non do mai campioni omaggio.»

  Richard si strinse nelle spalle, per quanto possibile nella posizio­ne in cui si trovava. «Mi ha detto di dirle che vuole che la riporti a casa - ovunque essa sia - e le procuri una guardia del corpo.»

  Anche quando il Marchese era immobile, gli occhi non smettevano di spostarsi da una parte all'altra. Su, giù, intorno, come stes­se cercando qualcosa, pensando a qualcosa. Addizionando, sottra­endo, valutando.

  Richard si chiese se quell'uomo fosse del tutto sano di mente.

  «E mi offre?»

  «Be', nulla.»

  Il Marchese si soffiò sulle unghie e le lustrò sul risvolto del trench. Quindi voltò il capo. «Lei offre a me... nulla!» Sembrava offeso.

  Richard si rimise in piedi aiutandosi con le mani. «Cioè, non ha parlato di denaro. Mi ha semplicemente detto che sarebbe stata in debito con voi di un favore.»

  Gli occhi lampeggiarono. «Di che genere di favore, esattamente?»

  «Uno davvero grande» rispose Richard. «Ha detto che sarebbe stata in debito di un favore molto, molto grande.»

  De Carabas sogghignò come una tigre che ha appena individua­to un contadinello sperduto. Quindi si rivolse a Richard. «E tu l'hai lasciata sola?» chiese. «Con Croup e Vandemar là fuori? Be', cosa stai aspettando?»

  Si chinò e da una tasca trasse un piccolo oggetto metallico. Lo infilò in un tombino alla fine della stradina e lo girò. Il coperchio del tombino venne sollevato facilmente; il Marchese rimise a po­sto l'oggetto metallico, e da un'altra tasca estrasse qualcosa che a Richard ricordò un po' un fuoco d'artificio o una torcia.